Per una sanità pubblica, accessibile, equa e di qualità. L'intervento di Rosa Maria Caliandro al sit-in del 14 ottobre
L’articolo 32 della Costituzione recita che «La repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e della collettività».
Ogni giorno purtroppo dobbiamo constatare che la Costituzione non viene applicata, ed è per questo che oggi e ormai da anni i cittadini scendono in piazza.
Nella manovra economico finanziaria appena varata per il finanziamento del SSN ci sono 2 miliardi in meno. Abbiamo sentito, a giustificazione di tale scelta, la Presidente del Consiglio affermare che importante non è la quantità delle risorse ma come le stesse vengono spese. Bene, anche noi siamo d’accordo che in sanità ci sono sprechi e sperpero di danaro pubblico.
Allora analizziamo qualcuna di queste spese inappropriate.
La Regione Sardegna è quella che ha la spesa sanitaria più alta fra le regioni italiane (lo dice la Corte dei conti) e nello stesso tempo è quella all’ultimo posto nella valutazione dei LEA.
Infatti tutti i parametri che misurano la salute dei cittadini peggiorano di anno in anno mentre crescono la spesa privata pro capite per curarsi e la migrazione sanitaria.
- Certamente una causa di spreco delle risorse pubbliche sono i medici in affitto. La Regione ha di fatto privatizzato, affidando ad una agenzia del Nord Italia, il reclutamento dei medici per molti Pronti soccorso.
A questi medici non viene chiesta nessuna competenza specifica per il lavoro in PS (ci viene detto che devono solo evadere i codici bianchi e gialli) e spesso neanche la conoscenza della lingua italiana.
I medici in affitto guadagnano per un solo turno di 12 ore circa 1.600 euro, poco meno dello stipendio mensile di un medico ospedaliero specializzato.
Questo è uno dei tanti motivi (assieme ai turni massacranti, alla percezione che con la stanchezza aumenta il rischio di errore, al rischio di essere aggrediti dai cittadini esasperati) che sta disincentivando i medici e gli infermieri al lavoro nel SSP, infatti i pochi concorsi banditi in questi anni vanno deserti.
- Altra annosa causa dello sperpero di risorse pubbliche in sanità riguarda gli appalti per i servizi di pulizia, lavanderia, ristorazione nelle strutture sanitarie, per l’acquisto di apparecchiature medicali, per le assunzioni di personale ausiliario ed addetti al servizio di guardiania, fatte attraverso agenzie interinali; operazioni, spesso opache, dietro le quali si nasconde il malaffare e la corruzione.
A questo proposito si segnala che il sistema di accentramento degli acquisti e delle assunzioni del personale sanitario ed amministrativo, che era uno dei presupposti dell’ATS prima e dell’ARES poi naufraga quotidianamente con il ricorso ad acquisti ed assunzioni in deroga per non meglio comprovati motivi di urgenza e senza chiara programmazione.
Vi ho citato solo alcune delle tante scelte che stanno determinando questa grave crisi del SSP, scelte perpetrate da decisori politici incompetenti e determinati ad affossare il SSP che fino a qualche anno fa veniva valutato fra i migliori nel mondo per l’equità e l’universalità delle prestazioni.
- Lo sperpero delle risorse è stato aggravato anche dal regionalismo, e lo sarà ancora di più con l’autonomia differenziata. Di fatto già oggi abbiamo 21 sistemi sanitari dove a prevalere non sono l’equità e l’universalità ma il libero mercato.
Ma, a cosa è dovuto l’affanno dei PS? Al ricorso inappropriato dei codici bianchi e gialli cioè di tutti quei casi che dovrebbero e potrebbero trovare risposta nel territorio rivolgendosi al proprio Pediatra o MMG.
Ma siccome in Italia passiamo da una emergenza all’altra senza mai affrontare da dove queste si originano, oggi abbiamo l’emergenza della carenza dei medici anche nel territorio.
Siamo riusciti a passare da un Paese che negli anni '80 e '90 aveva il più alto numero di medici pro capite al Paese che vede deserti i bandi di concorso e di incarico nelle sedi carenti.
Si doveva e si poteva prevedere che in questi anni la maggior parte dei Pediatri e dei MMG sarebbero andati in pensione e quindi per tempo programmare gli accessi alla facoltà di medicina e contemporaneamente alle scuole di specializzazione in modo da coprire i pensionamenti.
Come al solito si interviene con provvedimenti tampone a sciagura già avvenuta (aumento del massimale e ambulatori aperti a turno nei vari paesi) e si parla di eliminare il numero chiuso per l’accesso alla facoltà di medicina, provvedimento che darà i risultati almeno fra dieci anni e si continua a sottovalutare il problema dell’imbuto formativo.
Ma la crisi dell’assistenza territoriale non è solo dovuta alla carenza dei medici ma anche ad un modello organizzativo che non risponde più elle esigenze assistenziali della popolazione.
Quando venne istituito il SSN nel 1978, fu stabilito che ogni cittadino dalla nascita doveva avere un medico che lo aiutasse a conservare il proprio bagaglio di salute e che ne seguisse il percorso assistenziale quando si ammalava. Ogni cittadino deve avere fino a 14 anni il Pediatra e dopo il MMG.
Questa importante conquista va difesa e salvaguardata perché garantisce non solo l’uguaglianza di tutti i cittadini ma anche perché mette al centro la persona nel percorso di cura.
Ricordiamoci che la legge che istituì il SSN fu frutto delle lotte dei cittadini organizzati in movimenti, degli studenti delle organizzazioni sindacali e dei partiti politici più sensibili al bisogno di salute dei cittadini.
Da almeno due decenni gli studiosi di modelli assistenziali in sanità hanno evidenziato che grazie ai progressi fatti sul fronte della diagnostica e della cura molte patologie prima incurabili sono diventate croniche, inoltre nel nostro paese le persone che hanno più di 60 anni sono il 30,5% della popolazione e sono destinate ad avere una o più patologie.
Ecco perché l’assistenza territoriale non necessita di ritocchi ma di una seria riforma.
Bisogna superare il modello organizzativo che vede il territorio e l’ospedale, e anche l’università, mondi paralleli che non si incontrano mai.
Le lunghe liste di attesa che da anni, nonostante finanziamenti per ridurle, diventano sempre più lunghe sono la conseguenza di questa separazione.
Allora la Casa della Salute o di Comunità non è solo un luogo fisico a cui viene cambiato il nome (da poliambulatorio a distretto a C della S) ma deve essere un luogo dove, mettendo al centro il cittadino con un bisogno di salute, attraverso il lavoro in equipe fra varie figure professionali e specialità mediche, vengono date delle risposte.
Ad oggi le poche Case della Salute, le cui inaugurazioni ad effetto abbiamo visto in televisione sono vuote perché manca il personale.
Si dovrà realizzare l’integrazione ospedale territorio in modo che finalmente i PDTA di cui tanto si parla e tanto si è scritto possano essere applicati.
Le regioni dove le case della salute sono realtà da decenni (Emilia Romagna, Toscana, Veneto) sono le regioni che raggiungono le performance assistenziali migliori e quelle più gradite dalla popolazione.
Un altro pericolo io vedo, e penso che lo vedete anche voi, ed è quello che attraverso l’assistenza integrativa porta al ritorno di fatto delle mutue.
Infatti siamo bombardati dalla pubblicità che ci invita a stipulare una polizza sanitaria integrativa e la regione Lombardia da poco ha varato una legge che di fatto equipara il pubblico al privato.
I fondi destinati dal PNRR alla sanità non ci è dato sapere a cosa saranno destinati, sappiamo solo che costituiranno un debito per i nostri figli e nipoti.
La politica è sorda e chiusa alle istanze dei cittadini anche quando rivendicano l’applicazione di un diritto costituzionale.
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