Appello-Manifesto del "Coordinamento Intersezionale Sardegna"

Nel corso degli anni ‘70, in Italia, grazie ai Movimenti femministi, si è sviluppato un grande dibattito culturale sulla condizione delle donne, sulla organizzazione patriarcale della famiglia e della società, sul ruolo della educazione e del linguaggio nella strutturazione delle differenze di genere, e sul grande tema del pensiero della differenza e dell’uguaglianza. Dibattito che si é concretizzato, oltre che in grandi manifestazioni di piazza (divorzio, consultori, aborto libero e gratuito, libertà sessuale, matrimonio riparatore, delitto d’onore, violenza sulle donne), nella adozione di norme giuridiche che hanno dato il via al processo di liberazione delle donne, di decostruzione del sistema sociale patriarcale e di superamento delle discriminazione in campo familiare, sociale, professionale e politico (1970 Legge Fortuna Baslini introduzione del divorzio, confermato dal referendum del 1974; L. 151/1975 Riforma del diritto di famiglia; Legge n. 405/1975 Istituzione dei Consultori; Legge 194/1978 Tutela sociale della maternità e interruzione volontaria della gravidanza; L.442/1981 Abrogazione del delitto d’onore e dell'istituto del matrimonio riparatore; L. 164/1982 Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso).
Ma dobbiamo attendere ancora diversi anni perché vedano la luce leggi a tutela dell’indipendenza e della libertà delle donne, dell’identità e delle differenze di generi (L. n.119/2013 Contrasto alla violenza di genere; L.n. 76/2016 Unioni civili tra persone dello stesso sesso - Convivenze di fatto tra due persone maggiorenni, indipendentemente dall’orientamento sessuale).
Il percorso non è stata né facile né lineare né indolore. Ad oggi non tutti gli obiettivi sono stati raggiunti, c'è ancora molta strada da percorrere e molto su cui lavorare: differenze retributive, segregazione lavorativa, segregazione politica, precarizzazione, violenza, molestie sessuali, differenze di genere e disuguaglianze sociali, parità formale-parità sostanziale, identità di genere, coppie omosessuali, coppie di fatto, unioni civili, famiglie LGBTQ+ e non solo.

Bisogna ancora lottare per difendere i diritti civili faticosamente conquistati. 
Non si contano infatti le azioni (convegni, seminari, pubblicazioni, sostegni e aiuti) più o meno trasparenti promosse da associazioni, movimenti e gruppi politici per ridurre gli spazi di autonomia e autodeterminazione delle donne, per annullare/comprimere le conquiste in campo civile, politico, professionale e giuridico-ordinamentale.
Esattamente in questo filone si colloca l'Associazione nazionale famiglie numerose, da sempre impegnata in modo più o meno dichiarato nella difesa di un sistema sociale patriarcale basato sulla famiglia eterosessuale e nelle campagne “pro vita”. 
La partnership alla costituzione del Network dei comuni Amici della famiglia (di concerto con la Agenzia per la famiglia di Trento - Provincia autonoma di Trento - e il Comune di Alghero), non è che la punta dell’iceberg di una più vasta e subdola azione manipolatoria. L’obiettivo dichiarato di promuovere, in collaborazione con le amministrazioni comunali, politiche per il benessere familiare, nasconde un processo culturale teso alla valorizzazione delle famiglie tradizionali e al disconoscimento, alla marginalizzazione e “criminalizzazione” delle famiglie LGBTQ+, delle famiglie ricostruite, delle famiglie monogenitoriali, delle unioni Civili e delle convivenze. Basta leggere lo Statuto e la Carta dei valori per capire la filosofia e gli scopi dell'Associazione.

Tra l’altro, il vertice dell’Associazione è costituita da uomini e donne attivissim* e con ruoli apicali nel Centro Aiuto alla Vita, altra organizzazione che ha come obiettivi prioritari «la difesa e la promozione del “valore della vita umana, dal concepimento alla morte naturale [...] la difesa e la promozione della vita nella fase prenatale dal concepimento ed in quella minacciata dalla cultura dell’eutanasia» contro provvedimenti che «attraverso il veicolo delle leggi, le minacce alla vita umana diventano fatti organizzati, promossi e pianificati (anche a livello sanitario ed economico)».
È evidente, almeno per noi, che aderire al Network dei Comuni Amici della famiglia ( di cui è cofondatore l’'Associazione nazionale famiglie numerose) al fine di ottenere il Marchio Family Friendly, è un modo per sdoganare ideologie discriminanti e per promuovere una idea di famiglia e di ordine sociale patriarcale, di fatto per indebolire e disconoscere modelli familiari diversi da quelli tradizionali, talora attenuato da un buonismo paternalista che si esprime nella celebrazione delle unioni civili da parte di sindac* "illuminat*", dimenticando che non si tratta di concessione ma di preciso obbligo di legge (L.n. 76/2016 sulle Unioni civili tra persone dello stesso sesso e sulle Convivenze di fatto tra due persone maggiorenni, indipendentemente dall’orientamento sessuale).

Gli/le amministrator* che hanno aderito al network dovrebbero tenere presente che le Istituzioni ed in particolare i Comuni hanno per legge il dovere di tutelare tutte le formazioni sociali, di promuovere politiche di inclusione contro pregiudizi e discriminazioni, di impedire la diffusione, il rafforzamento, il radicamento di ideologie oscurantiste e integraliste.
Dal momento della costituzione (2018) il “Network Family in Italia” ha preso strada, dilagando per tutta la penisola, coinvolgendo nell’arco di poco di due anni 76 comuni e 13 Organizzazioni (tra cui i Forum delle Associazioni familiari Sardegna e Sicilia**).
Ad oggi in Sardegna il network conta n. 11 comuni (Alghero, Sassari, Decimoputzu, Olmedo, Golfoaranci, Romana, Porto Torres, Usini, Bono, Nuoro, Cagliari) e n. 3 Organizzazioni (Regione Autonoma Sardegna, Forum Delle Associazioni Familiari Sardegna, Città metropolitana di Cagliari)
Il Coordinamento Intersezionale Sardegna non intende restare a guardare, assistere in silenzio alla deriva delle conquiste democratiche, al ritorno di un sistema sociale e familiare ordinato secondo gerarchie e stereotipi di genere, alla stigmatizzaione delle persone LGBTQ+, alle discriminazioni per sesso, per orientamento sessuale e per identità di genere.
Intendiamo dare via ad un ampio dibattito politico e culturale, dentro e fuori le Istituzioni, coinvolgendo i territori, le forze politiche, i movimenti, le associazioni, i consigli comunali, il consiglio regionale.
E’ inaccettabile che le maggioranze di governo, tali solo per legge elettorale, si arroghino con delibere di giunta il diritto di decidere a nome dell’intera collettività. Scelte di tale delicatezza e portata sul piano etico e dei diritti debbono essere oggetto di discussione in seno alle assemblee legislative dove le rappresentanze degli elettori e delle elettrici possano esprimersi assumendosi pubblicamente le relative responsabilità.

Invitiamo i nostri e le nostre rappresentanti nei Consigli comunali e nel Consiglio regionale di chiedere con forza e determinazione la convocazione/riconvocazione delle Assemblee per una discussione trasparente e democratica, per una valutazione ponderata delle finalità sottese a progetti di sigle e associazioni reazionarie e conservatrici, per le ricadute e gli effetti che la riproposizione e valorizzazione di certi modelli culturali possono determinare in quella parte di opinione pubblica sorda e chiusa al riconoscimento dei diritti delle persone LGBTQ+ e delle famiglie arcobaleno.

Commenti